La Sostenibilità è una cosa seria

di Gianni Sebastiano

Spiace rilevare che ancora oggi, ormai a cinque anni dalla promulgazione dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile – il programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU, che ingloba “17 Obiettivi” per lo Sviluppo Sostenibile – nelle nostre imprese si continui a pensare ad azioni di stampo etico-volontaristico, basate su micro-azioni dal taumaturgico potere educativo.

Certo, educare sulle tematiche dello sviluppo sostenibile non basta mai. Certo, le azioni che ciascuno di noi mette in campo tutti i giorni con i propri comportamenti, sono necessarie per ispirare le coscienze e fare emergere quel senso di urgenza che il tema ha assunto.

Ma pensiamo davvero di cavarcela solo con la messa al bando dei distributori di bottigliette di acqua, con il car sharing aziendale? Molto di moda, diciamolo pure.

La questione, come le stesse Nazioni Unite hanno messo in evidenza nel 2015, deve essere affrontata in modo “sistemico”. A tutti i livelli. Non c’ è più tempo per azioni simboliche. Come sempre accade, prima o poi arriveranno le prescrizioni di norma, che ci troveranno impreparati. E allora giù con convegni, raccomandazioni delle associazioni degli imprenditori e dei professionisti, inviti a correre… per prendere tempo.

Peraltro si parla quasi sempre di temi noti e, diciamo, facili da indirizzare. Il tema della sostenibilità non è solo la plastica o il CO2. 

Approccio sistemico significa anche affrontare temi ostici inerenti, per esempio, la sfera dei diritti umani: livellamento delle retribuzioni alla reale produttività, omogeneità di trattamento fra uomini e donne, posizioni di comando distribuite fra i generi, sostenibilità della catena della fornitura, attenzione ai territori, formazione, responsabilità amministrativa da reato (… leggi, dlgs 231/2001). 

Fra qualche anno il cosiddetto bilancio di sostenibilità, oggi declinato dalle direttive europee recepite in leggi nazionali dagli Stati membri (*) come “Dichiarazione Consolidata di Carattere Non Finanziario” – brevemente DNF -diventerà parte integrante del reporting aziendale. Il bilancio non sarà più una mera indicazione di fenomeni contabili. Il fatturato, il profitto, le dimensioni patrimoniali, richiederanno non più solo descrizioni di tipo tecnico-contabile, ma una visione più ampia, per cui si dovrà spiegare a quale prezzo ambientale e sociale sono stati ottenuti.

Non solo. Ciò che oggi guardiamo in eleganti brochure che rappresentano l’attenzione dell’azienda verso le tematiche social-ambientali, diventerà parte integrante del reporting, ma secondo standard internazionali molto stringenti e molto esigenti (Global Reporting Initiative).

Si dovrà spiegare quale obiettivo ci si è dato su uno specifico indicatore, quale politica si adottata per perseguirlo, quale sistema di misura e controllo. 

Le emissioni di CO2 non saranno più raccontate attraverso bei disegni colorati, bensì da tabelle numeriche, che andranno ad analizzare il tasso di trasferta dei dipendenti, i luoghi di destinazione, la durata, i mezzi che usano, e come questo si modifica anno su anno.

Insomma una vera e propria contabilità della sostenibilità.

Non si potrà più solo denunciare strombazzando nei convegni che “la donna che ha successo in un campo maschile viene spesso descritta come fredda, arrivista ed egoista”.  Occorrerà dichiarare cosa si fa in azienda per favorire un clima e una cultura che consideri il desiderio di carriere della donna, del tutto connaturato e normale come lo è per l’uomo. Piani. Misurabili.

Se allora le organizzazioni non sono il prodotto delle differenze di genere ma sono le pratiche e i processi organizzativi a creare le norme e la segregazione di genere, è necessario spiegare  quali politiche l’organizzazione  mette in campo per evitare che sia, essa stessa, a generare discriminazioni. Non esistono organizzazioni neutre rispetto al genere.

Insomma se si vuole affrontare seriamente il tema della sostenibilità e non farsi trovare impreparati in vista dei significativi cambiamenti che in buona parte saranno indotti, occorre rapidamente cominciare a ripensare: 1) le politiche di business planning, per poggiarle su presupposti di ritorno non solo economico; 2) i sistemi informativi, affinché siano integrati per la raccolta dei dati da fonti molto differenziate e non prettamente contabili e/o gestionali; 3) le modalità organizzative, affinché le persone a tutti i livelli dell’organizzazione siano pronte a interpretare obiettivi di respiro molto più ampio, con ricadute in ambiti ad oggi inediti.

In ultima analisi occorrerà darsi obiettivi di miglioramento, esattamente come per la crescita del fatturato e della redditività, estesi a dimensioni meno note, soprattutto, qualitative.

E’ auspicabile che, dopo una prima fase di “rodaggio”, l’approccio sistemico possa essere rafforzato. Per raggiungere gli ambiziosi obiettivi e impegni assunti dalle Nazioni Unite sarà necessario infatti uno sforzo integrato del sistema economico e finanziario, di cui le imprese sono il soggetto determinante.

(*) È del 25 gennaio 2017 l’entrata in vigore del decreto legislativo del 30 dicembre 2016, n. 254 di Attuazione della direttiva 2014/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2014, recante modifica alla direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversità da parte di talune imprese e di taluni gruppi di grandi dimensioni.

X